Su Domenico Riso e la stampa italiana

Quando due giorni fa abbiamo letto in prima pagina sul Corriere che c’era una vittima italiana nella tragedia di Madrid e che questa vittima viaggiava “con il compagno e il figlio”, in tanti ci siamo stupiti: abbiamo dovuto leggere fino in fondo per capire se il Corriere intendesseproprio “quello”.
Siamo talmente abituati ad omissioni e censure, ad essere socialmente inesistenti e invisibili (ovisibili solo nei quadretti manipolatori e distorcenti che puntuali arrivano con le cronache morbose dei Gay Pride), che non ci aspettavamo che qualcuno potesse per una volta almeno in questo Paese raccontare i fatti dando alle cose il nome che hanno. Ci è del resto bastato sfogliare le pagine bianche de La Repubblica e de L’Arena ieri e oggi, e leggere i commenti di disappunto del nostro governatore Galan e dell’editorialista Merlo, per capire che in effetti il Corriere aveva osato un’impresa improbabile,fare un giornalismo sereno squarciando suo malgrado il muro di gomma di una pratica culturale profonda e diffusa inItalia: l’omissione censoria.C’era una famiglia su quel volo. Punto. Era così semplice dirlo, come si sarebbe potuto dire per qualsiasi altra famiglia. Era una famiglia nella sua quotidianità e come tale è stata raccontata da chi ha avuto il coraggio di farlo: perché più di mille Gay Pride, vale proprio il racconto di questa quotidianità normale a riconoscere nella società e nella cultura l’esistenza dei gay e delle lesbiche in questo Paese. Proprio per questo il racconto è stato “opportunamente” omesso da tutti gli altri media. Fosse stata una famiglia eterosessuale ce loavreste detto? Certo, ce lo avreste raccontato in coro con dovizia di particolari, interviste ad amici e genitori di lui, ad amici e genitori di lei, qualche quadretto romantico sulle ferie che “insieme” quella coppia con figlio aveva organizzato. Al di là dell’opportunità e dello stile di questo giornalismo che cavalca morbosamente l’onda della tragedia, questa volta “casualmente” niente di tutto questo è accaduto: per la quasi totalità dei mediaitaliani, ad eccezione del Corriere, su quel volo c’era un single italiano e residente a Parigi in ferie con un amicoqualsiasi e un bambino circondati da eufemismi, qualche nota campanilistica sul dolore del paese di origine e la questione è stata chiusa. Una farsa mediatica nella tragedia: certe quotidianità normali non vanno proprio raccontante.La difesa di questa linea censoria omissiva è del resto arrivata imperterrita con le parole di Merlo e Galan: “de coccio”, direbbero a Roma, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. “Non si fruga nelle lenzuola” è l’argomento: quante volte ormai abbiamo sentito questa oppportunistica e militante litania ipocrita?Si usa per cancellare la nostra vita sociale e civile, per suggerire di fatto che le nostre relazioni e i nostri amori non hanno una forma e un contenuto socialmente e giuridicamente apprezzabili. Le nostre relazioni non esistono e non abbiamo diritto a quadretti romantici mediatici perché, al contrario delle famiglie eterosessuali, la nostra vita sociale e affettiva è banale “privato sotto le lenzuola”: per gli altri scatta il racconto sociale romantico di una famiglia “normale” eterosessuale, per noi scatta la pruderie e il “rispetto” per la vita cruda e privata dei singoli (corpi) sotto le lenzuola. Era così scandaloso e difficile dirlo? Domenico Riso era in volo con la sua famiglia, dueuomini e un figlio. Voler a tutti i costi far passare l’omissione censoria dell’indicibile per rispetto della persona è davvero un esercizio patetico e rivoltante di furberia culturale.

Michele Breveglieri
Membro del direttivo di Arcigay “Pianeta Urano”- Verona

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